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Cucina regionale, dai canederli ai piatti della tradizione squisiti eppure poco conosciuti 

La delegata di Bolzano dell’Accademia Italiana della Cucina, Isabella Jone Beretta, ci guida tra i segreti dei prodotti più tipici. “Ecco come devono essere canederli e speck, ma lasciatevi stupire da quei piatti poverissimi che ancora conosciamo troppo poco”

La cucina è storia e radici. Poche persone più di Isabella Jone Beretta sanno prenderti per mano per portarti sino al cuore del gusto locale altoatesino mettendo le gambe sotto un tavolo. In Italia la cucina è religione, ma è anche standardizzazione: usiamo con una certa disinvoltura (e imprecisione) termini come prodotto tipico, piatto nazionale o cucina locale. In realtà, trovare realmente pietanze che rispondano alla tradizione territoriale con un uso sapiente delle materie prime non è così scontato e semplice. Beretta, delegata dell’Accademia della Cucina a Bolzano, può essere la nostra bussola.

“La nostra associazione, nata nel 1953 per iniziativa del giornalista sportivo che seguiva il Giro d’Italia Orio Vergani, è riconosciuta come istituzione culturale dal Presidente della Repubblica e nasce proprio con l’obiettivo di difendere, promuovere e tramandare la cucina regionale”.

Compito molto vasto considerata la cucina italiana…

“Prima di tutto, chiariamo un aspetto fondamentale: la cucina italiana, di fatto, non esiste, l’Italia è un Paese costituito da cucine regionali. Gli spaghetti che consideriamo un simbolo nazionale, per esempio, sono frutto della contaminazione araba al Sud, così come la pasta secca nasce come metodo persiano per trasportare questo alimento per mare. Ci sono molteplici storie affascinanti da scoprire nei nostri piatti e la base è sempre molto locale”

Ce ne regala un’altra?

“Volentieri. L’origine della Colomba pasquale è da ascrivere alla creatività di un pubblicitario che lavorava nell’azienda dolciaria Motta. Vedendo i forni attivarsi solo per i panettoni di Natale, aveva iniziato a chiedersi se non poteva esserci una strada per renderli produttivi anche in altri periodi. Nacque così questo straordinario prodotto tipico che oggi vediamo su tutte le tavole a Pasqua”

Torniamo all’Accademia della Cucina, com’è organizzata in Alto Adige l’associazione?

“Abbiamo tre delegazioni: Bolzano, Merano e Bressanone. Nel capoluogo, i soci sono 33 e ogni anno, a coppie, si promuove una cena in un ristorante. Concordiamo un menù e andiamo tutti insieme. Al termine della cena, riceviamo delle schede di valutazione che compiliamo e che andranno a comporre dei giudizi complessivi. Questi, a loro volta, sono pubblicati all’interno della rivista dedicata ai soci. Anche il sito è ricco di informazioni”

Come si giudica una pietanza?

“Principalmente in base alla scelta della materia prima, poi contano preparazione e confezionamento. Se vuole, posso farle l’esempio dei canederli”

Prego…

“A volte si utilizza troppa farina e diventano durissimi. Chiaramente c’è un enorme differenza tra un canederlo industriale e uno preparato con le uova fresche delle galline allevate nel maso e i prodotti freschi o a chilometro zero. La differenza si percepisce netta”

Lo speck?

“Ecco, qui possiamo stabilire subito una differenza lessicale. Lo speck è un prodotto tipico, mentre i canederli sono una pietanza. Per quel che concerne lo speck, possiamo dire che il disciplinare del Consorzio è piuttosto severo e garantisce una certa qualità. Altri aspetti vanno poi indagati più in profondità. La norma, per esempio, prevede che i maiali vivano sei mesi l’anno in Alto Adige, ma è bene capire anche dove siano stati prima. Ci sono anche qui, comunque, differenze abbastanza consistenti dal prodotto industriale nella gdo e quello del produttore più piccolo e ricercato”

Quali devono essere le caratteristiche di un buon speck?

“Le sembrerà strano, ma prima di tutto il grasso. Deve essere presente, meglio se rosa o comunque chiaro. Oggi purtroppo, le esigenze di mercato lo rendono difficile da trovare. Non solo, l’affumicatura non deve prevalere ed è necessaria una buona stagionatura. In occasione della Mostra Vini organizzata dall’Azienda di Soggiorno di Bolzano, organizzai una degustazione di affumicati che fu davvero molto soddisfacente e piena di spunti”.

I formaggi?

“In realtà non sono esattamente tipici della cucina altoatesina, salvo il Graukäse o qualche lavorato con il latte di capra. Il latte di mucca, infatti, veniva usato principalmente di burro. Ora iniziano a diffondersi maggiormente prodotti di malga a latte crudo di vacche allevate nella loro stalla, con risultati che sono sempre migliori”.

Ci sono pietanze o prodotti regionali poco conosciuti anche da chi in Alto Adige vive?

“Sono molti, in realtà. Penso, per esempio, alla minestra di crostini di milza oppure alla zuppa di vino. La cucina poverissima, per quanto curioso, è spesso quella che rischia di perdersi con il tempo. Particolare è anche il Riebel, che possiamo descrivere come una sorta di Kaiserschmarrn di grano saraceno con mele e mirtilli rossi. Molto semplice eppure delizioso, invece, è l’Arme Ritter che vede il pane secco ammollato nel latte e poi fritto nel burro. C’è, inoltre, un dolce che chiamiamo Pira (Scheiterhaufen in tedesco) che è composto di pane raffermo e mele. Io, però, ne ho uno del cuore che ormai difficilmente si trova”

Raccontiamolo in chiusura.

“Quando ero piccola, nei masi mi offrivano sempre il Muas che è, di fatto, un piatto unico composto da farina di grano saraceno o mais cucinata con un procedimento che ricorda quello della polenta. Il tutto viene poi arricchito con il burro ma anche, nella sua versione dolce, con zucchero e cannella. Spesso il Muas veniva posizionato al centro del tavolo e ciascuno poteva prenderne un pezzo. È un piatto che richiama l’infanzia e quelle atmosfere. Lo porto nel mio cuore e quando lo trovo è sempre un momento di gioia”.